5 domande a Franco Chittolina

1 – L’Associazione Spazio è stata creata da un gruppo di mediatori interculturali che lavorano da tempo nel territorio Cuneese che hanno riscontrato il bisogno di impegnarsi in prima persona per il riconoscimento della loro professione. Quando è stata la prima volta che lei ha sentito parlare della figura del mediatore interculturale e come lei vede il suo inserimento e valorizzazione tanto in Italia come in Europa?

Ho sentito parlare per la prima volta del mediatore interculturale in Belgio, dove ho risieduto dal 1968 al 2003. Sulla sciadi un dibattito molto vivo a cavallo degli anni ‘60/’70 sulla figura dell’animatore culturale, la riflessione si è spostata progressivamente sulla nascente figura di animatori per il dialogo tra le culture, stimolato in Belgio dalla consolidata presenza di un’emigrazione prima europea e successivamente maghrebina e turca. Ma a lungo si trattò ancora di interventi all’interno delle singole comunità nazionali, nel contesto di una relativamente buona convivenza tra le diverse comunità di immigrati e con la popolazione locale. L’aumento demografico di cittadini stranieri, le tensioni innescate sul mercato del lavoro dalla crisi economica degli anni ’70 ha sicuramente contribuito a promuovere l’esigenza di un dialogo interculturale, nel quale è andata prendendo progressivamente forma la figura del mediatore culturale.

2 – Di fronte alle sfide lanciate dalla attuale crisi immigratoria e dalla costruzione di una società multiculturale i mediatori si sentono chiamati in causa per favorire l’incontro e il dialogo tra le culture. Quale potrebbero essere, secondo lei, le competenze e prospettive future per la nostra figura professionale?

Le competenze richieste oggi nell’attuale situazione migratoria al mediatore interculturale sono sicuramente complesse e mutevoli nel tempo. Per un verso resta valida l’ipotesi di lavoro che affronta i flussi migratori come una realtà certo non in esaurimento e nemmeno solo di natura passeggera. Di qui a considerare l’insieme dei migranti come futuri cittadini stabilmente residenti nei Paesi europei è un passo da valutare con attenzione, avendo tuttavia coscienza che gran parte di questi migranti cercherà di restare in Europa e quindi va preparata a questa prospettiva. Una prospettiva che richiede un grande investimento formativo e di promozione del dialogo con la popolazione locale oltre che tra le comunità straniere, per evitare effetti di ghettizzazione e marginalità.

3 – Data la sua formazione e il suo impegno lavorativo in Italia e all’estero come e dove vede l’inserimento e la collocazione delle persone che non sono italiane in questa società?

Credo che per i migranti in posizione regolare non ci sia altra prospettiva che l’acquisizione progressiva della cittadinanza nazionale, e quindi europea, con riferimento allo “ius soli”, considerato come “ius” derivante da una residenza stabile e regolare, lasciandoci alle spalle lo “ius sanguinis”, con tutti i rischi che comporta.

4 – Oggi vediamo un’ Europa che dimenticandosi dei suoi valori fondamentali come Solidarietà e Pace cerca di creare nuovi muri invece di costruire altri ponti; è giusto attribuire all’immigrazione la responsabilità per le nostre paure e insicurezze, l’immigrazione può essere davvero una minaccia per l’Europa?

Va chiarito che non è l’Europa, con le sue Istituzioni comunitarie, a dimenticare i valori della pace e della solidarietà, bensì sono gli Stati membri e i loro governi nazionali che non hanno dato e continuano a non dare all’Unione Europea un mandato politico e strumenti operativi per intervenire nel governo dei flussi migratori, come dimostra tra l’altro il rifiuto di molti Paesi (in particolare quelli dell’Est) di mettere in esecuzione la distribuzione dei migranti sui propri territori, come richiesto dalla Commissione europea.

5 – Gli attentati terroristici recentemente accaduti in Europa hanno messo in discussione l’integrazione della seconda e terza generazione, secondo lei sarebbe necessario un’ulteriore analisi del concetto di integrazione e cambiare alcune politiche correlate?

Credo che in merito alle politiche di integrazione molte siano le cose che i Paesi dell’Unione dovrebbero cambiare, tenuto conto delle esperienze diverse, e spesso poco riuscite, di Paesi come la Gran Bretagna, la Francia e la Germania. Quest’ultima, pur esitando sull’approccio da tenere, sembra alla ricerca di un modello più aperto, anche se tendenzialmente selettivo, nelle politiche di accoglienza. Interessante la situazione “fluida” dell’Italia, ancora priva di un modello da seguire, ma moderatamente flessibile di fronte ad un fenomeno nuovo che si caratterizza come una prevalente “dinamica di passaggio” di flussi migratori diretti verso nord.

Franco ChittolinaPresidente di APICE – Associazione per l’incontro delle culture in Europa, ha lavorato per 25 anni a Bruxelles presso le Istituzioni europee (Consiglio dei ministri prima e Commissione poi), impegnandosi per il dialogo tra le Istituzioni comunitarie e la società civile. Dal 2005 lavora in Italia per portare l’Europa sul territorio piemontese, in particolare nella provincia di Cuneo.